Chiku è morto a
giugno di quest’anno presso il Centro WWF di Semponiano in Toscana.
Per il giudice che ha condannato il proprietario, Chiku era un
Serval puro, ovvero un gattopardo africano e non un ibrido e pertanto non
poteva essere detenuto in una abitazione privata ai sensi del combinato
disposto della legge 7 febbraio 1992, n. 150 e del Decreto ministeriale
19/04/1996 integrato dal Decreto ministeriale 26 aprile 2001.
Chiku aveva
un padrone e una casa a Bolzano dove era arrivato quando aveva solo sei mesi;
era stato regolarmente acquistato in Germania tanto che il proprietario era in
possesso di regolare documentazione che eliminava l’ipotesi di importazione
illegale. .
Non entro
nel merito della moda di detenere animali esotici incompatibili con la società
urbana in cui viviamo, molto spesso strappati al loro habitat con la violenza così
come comunque non entro nel merito della moda di incrociare animali selvatici
con animali domestici per creare nuove razze , altrettanto discutibile; in
entrambi i casi prevale sempre e comunque l’interesse economico umano a
discapito dell’animale.
Di questa
storia mi ha colpito piuttosto la
posizione delle associazioni animaliste.
C’è da
premettere che Chiku è stato sequestrato a febbraio 2015 al proprietario dopo
che è riuscito a scappare di casa e ha ucciso un gatto.
Prima è
stato collocato presso il Canile Sanitario di Bolzano e poi al Centro di Semproni
ano a Grosseto ove prima di morire come
molti altri animali ospitati nei CRAS, ormai divenuti come i bioparchi
“alternative etiche agli zoo” ha
intrattenuto scolaresche e visitatori.
Il
Proprietario ha lottato per riaverlo a casa, con petizioni ed appelli così come
sul piano legale, dichiarando che in realtà non appartenesse alla specie
vietata di servalo ma alla specie ibridata di Savannah che origina proprio
dall’incrocio tra un Serval e un gatto domestico.
Mentre la
difesa e il proprietario continuavano ad affermare la domesticità dell’animale la Procura avvalendosi delle
deposizioni dell’Ispettore della Forestale e del veterinario interventi per la
cattura e sostenuti anche dal veterinario della struttura in Toscana, sosteneva
l’alto livello di aggressività e di conseguente pericolosità anche per l’uomo.
È superfluo però sottolineare che un
animale che si sente braccato quasi sicuramente manifesterà un comportamento
aggressivo di difesa.
Durante il
processo il giudice aveva accolto la costituzione di parte civile di due
associazioni animaliste, rimaste sconosciute, che in aula nel corso del
dibattimento hanno sostenuto che la “detenzione di un animale selvatico
appalesa una visione degli animali di scarso valore e un disinteresse alla
salute degli stessi”
In realtà
Chiku al momento della cattura non manifestava alcun segno di incuria
Dal momento
in cui è stata emessa sentenza di condanna il proprietario di Chiku è stato
costretto a pagare alle succitate associazioni animaliste 4420 Euro ciascuna,
comprensive delle spese legali.
A seguito
della morte di Chiku le due velleitarie associazione animaliste hanno perso la
loro combattività per la salvaguardia degli animali nonostante ci si aspettasse
che così come fatto per il sequestro, avvenuto pur in assenza di
maltrattamenti, tanto più intervenissero a seguito del decesso per cause oscure
dello stesso animale che, selvatico o meno, vietato o meno, hanno contribuito
ad allontanare dalla sua casa e dal suo proprietario senza considerare che tipo
di ricadute questo allontanamento così come lo
spostamento in due strutture diverse e distanti tra loro nonché la
permanenza in una località climaticamente diversa da quella di provenienza
potessero avere sull’animale nonostante in giudizio avessero accusato proprio
il proprietario di disinteresse alla salute del pericolosissimo Chiku.
Al di là
delle ragioni giudiziarie o meno delle parti in causa ancora una volta sono gli
animali a pagare per la bestialità umana; anche Chiku ha pagato per essere
stato privato della libertà e della
dignità.