Nel libro “Il respiro di
Gorgona” (Libreria Editrice Fiorentina), l’autore, il veterinario Marco
Verdone dimostra attraverso gli
aneddoti, i ricordi, le storie, come l’animale possa essere una sorta di
“educatore”, un veicolo attivo di virtù, un elemento non più neutro e
sconosciuto, bensì il polo di una dialettica che ricollochi l’uomo all’interno
di una sua dimensione specifica, e non al di fuori di essa.
“Troppo spesso ai giovani tori si tagliano le corna, per
evitare incidenti agli allevatori, e così si sottrae all’animale il suo
contatto con l’Universale, con le forze vitali esterne.
Nell’isola di Gorgona gli uomini non tagliano le corna ai
tori”.
O meglio nell’isola di Gorgona gli uomini non tagliavano le
corna ai tori perché da marzo 2016
l’amministrazione penitenziaria ha deciso di riaprire a Gorgona il
mattatoio disperdendo l’esperienza rieducativa e trattamentale che per 20 anni
ha guidato il percorso di recupero di uomini e animali.
Nel
suo progetto Marco Verdone era arrivato anche a redigere una vera e propria
Costituzione dei non umani nella quale l’Art 1 recitava “Gli animali non sono cose, né sono macchine”.
Favorendo l’incontro tra detenuti e animali, queste anime “recluse” su quest’isola potevano sentirsi vicendevolmente più libere, sognando un mondo futuro senza gabbie e prigioni dove l’uomo scelga di non uccidere più i suoi “compagni di viaggio”.
Favorendo l’incontro tra detenuti e animali, queste anime “recluse” su quest’isola potevano sentirsi vicendevolmente più libere, sognando un mondo futuro senza gabbie e prigioni dove l’uomo scelga di non uccidere più i suoi “compagni di viaggio”.
Oggi, quindi, proprio coloro ai quali è affidato il duro
compito di reinserire soggetti che hanno leso la società commettendo gravi
reati, rendendoli migliori offrendo loro motivi di speranza, proponendo modelli
di relazione che si basano sul rispetto degli altri, hanno deciso di riaprire
il macello abbattendo quei 165 animali con i quali ad oggi i detenuti si sono
messi in gioco, si sono messi in ascolto e in discussione, hanno potuto
sperimentare nuove personalità, sono riusciti
a sperimentare serenità, fiducia
e senso di responsabilità che hanno favorito la riduzione della rabbia,
del tasso di recidiva e dell’uso di antidepressivi.
Sull’isola la possibilità di scoprire il valore degli
altri, in questo caso animali, al di là di quello che potevano produrre oggi
non esiste più perché “gli animali che non producono costano”;
è la truce motivazione fornita dalla nuova direzione.
Nell’isola
che c’è o meglio c’era insieme agli animali sono stato traditi anche tutti
quegli uomini che con loro hanno vissuto e hanno condiviso il tempo senza tempo
della condanna.
Ancora una volta la zootecnia ha vinto sulla zoo antropologia
e sul valore terapeutico della relazione uomo-animale che sicuramente non
produce denaro ma dona la ricchezza più importante: la purezza d’animo che solo
un animale ci può insegnare.
L’amministrazione Penitenziaria ormai da tempo sponsorizza
progetti di recupero trattamentale a favore dei detenuti con l’ausilio di
animali; in realtà tutti i progetti ad
oggi realizzati o tuttora in corso di realizzazione non hanno avuto un concreto proseguo o dei
ritorni in termini rieducativi; molti degli animali utilizzati, prevalentemente
cani, sono finiti in canile al termine del periodo progettuale o terminati gli
stanziamenti
Molti dei progetti intrapresi anche in collaborazione con
enti dai quali ci si doveva aspettare serietà in realtà o non hanno mai decollato
o se lo hanno fatto sono falliti a breve; ai ridondanti comunicati stampa che
anticipavano l’avvio dei progetti, puntualmente denominati spesso a torto
“pilota”, è sempre seguito il silenzio
in ordine ai risultati e agli obbiettivi raggiunti.
Il motivo è semplice: l’assenza di amore e di rispetto
accompagnati dall’arrivismo che non guarda in faccia nessuno ma che anzi trova
tra i più deboli, indistintamente uomini o animali, gli strumenti attraverso i
quali lucrare.
È quello che è successo a Gorgona; perché dover spendere
soldi per mantenere in vita esseri viventi che di fatto in questo Progetto
hanno svolto un ruolo terapeutico, in fin dei conti sono solo animali e che
cosa importa degli uomini che li hanno accuditi, che li hanno cresciuti che li
hanno semplicemente amati e dai quali si sono sentiti amati forse per la prima
volta nello loro vita, sono solo detenuti.
Durante la prima edizione del
Laboratorio di Pet Therapy che abbiamo realizzato presso la Casa di Reclusione di Alba
durante un convegno al quale siamo stati invitati, organizzato proprio
dalll’Amministrazione Penitenziaria Regionale, uno dei partecipanti nella sua
relazione ha scritto “Posso
assicurarvi che ritrovarsi a lavorare con un cane , con il quale non esistono
giudizi, pregiudizi ed il solito schema metodico di rigidità cui siamo
usualmente sottoposti, ha aperto in me un nuovo spiraglio, il quale a poco a
poco si è riverso nell’avere più fiducia verso gli operatori penitenziari.
Non
prendete sottogamba ciò che ho appena detto, perché un passaggio simile ha
abbattuto un muro, cosa che, non per svalutare l’operato di tanti psicologi o
educatori, i quali ormai assopiti dalla solita routine falliscono dove invece
un cane riesce, rompendo questo muro di sfiducia il cui abbattimento è
essenziale per un buon lavoro di reinserimento di un detenuto”